Articolo su Casa di Augusto del numero 314 anno 2015 di Luce, p. 24

La casa di Augusto e La casa di Livia nel complesso Augusteo al Palatino

A Roma dopo duemila anni riprendono vita con la luce le antiche stanze della dimora imperiale

di Carolina De Camillis, Riccardo Fibbi

Il Palatino, legato alla leggendaria fondazione di Roma da parte di Romolo, negli ultimi due se-coli dell’età repubblicana era soprattutto considerato il quartiere aristocratico di Roma, prima di divenire, in età imperiale, da Augusto in poi, zona privata dell’imperatore. Quando il giovane Ottaviano fu adottato da Cesare e assunse un ruolo pubblico, acquisì nel 42 a.C. la casa dell’oratore Ortensio. Questa formò il primo nucleo di un sistema di costruzioni volto alla colta e raffinata predicazione ideologica del suo potere e della sua immagine. La Casa di Augusto e la Casa di Livia, sua terza amatissima moglie, sono porzioni del complesso di edifici imperiali la cui riapertura è stata un evento memorabile nell’ambito delle celebrazioni per il bi-millenario della morte di Augusto avvenuta nel 14 a.C. Le decorazioni dei due edifici rappresentano un raffinato e ben conservato esempio di arte figurativa romana della fine dell’epoca repubblicana, connotate da motivi floreali, architetture fantastiche e scenografie teatrali, sottolineate dai colori tenui e brillanti, che si espandono negli ambienti. Il complesso augusteo è sempre stato di difficile comprensione, per l’articolata stratificazione dei resti archeologici delle diverse fasi costruttive e per il dibattito ancora in corso sull’interpretazione degli spazi e delle loro trasformazioni.

La Casa di Augusto: la luce come strumento di reintegrazione dell’immagine

Il progetto di illuminazione è iniziato alla fine del 2012 e si è concluso con la realizzazione nell’estate del 2014, in continuo dialogo con la progettista della Soprintendenza, l’architetto Barbara Nazzaro. L’intervento di restauro ha anzitutto previsto la realizzazione di una nuova copertura per proteggere l’area archeologica e per restituire il senso degli spazi confinati della casa. Come spiega Barbara Nazzaro, l’intero, l’asportazione dei blocchi di tufo che costituivano le strutture verticali e il crollo generalizzato delle volte sconsigliavano il ripristino dei volumi originari, oggetto di dibattito scientifico; nel progetto di copertura si è utilizzata come riferimento una quota relativa al momento in cui fu intrapresa la attività di scavo negli anni ’60. La linea ispiratrice del progetto è la suggestione: all’estradosso la struttura di copertura si presenta in parte con uno strato di vegetazione, dal quale emergono alcune strutture, e in parte in terra proprio come appariva all’inizio della fase di scavo. Al contempo l’intervento si pone l’obiettivo di una maggiore integrazione con il contesto paesaggistico e le visuali dai colli Aventino e Gianicolo. La struttura di copertura ha coniugato l’uso di elementi portanti in acciaio con l’utilizzo di profili in pultruso (resine organiche rinforzate con fibre sintetiche), connotati da leggerezza, resistenza meccanica e facilità di montaggio, poi obliterati da teli in PVC di colore scuro. L’acciaio Corten ha infine consentito un’integrazione con le strutture archeologiche anche grazie all’uso di pannelli con microforature calibrate in dissolvenza che richiamano la suggestione della vibrazione delle mura-ture antiche.

Il progetto della luce si è basato sui seguenti obiettivi, oltre a quelli più tradizionali di permettere la fruizione museale in sicurezza e la valorizzazione:

  1. Rievocare con la luce artificiale i rapporti chiaroscurali tipici degli ambienti pubblici e privati della casa romana, attuati mediante la differenziazione della provenienza della luce e della sua intensità. Infatti nella casa romana la penetrazione della luce naturale negli spazi interni veniva mediata dalla presenza del peristilio che creava una schermatura nei confronti dei raggi solari più verticali e determinava una diversa luminosità degli ambienti stessi in base alla loro profondità e alla distanza dal peristilio stesso.
  2. Creare un gerarchia percettiva, differenziando la modalità di distribuzione della luce e la sua gamma cromatica negli ambienti della domus privata rispetto agli ambienti della domus publica, contribuendo a suggerire sensazioni più intimistiche per gli spazi privati, diversa-mente da quelli destinati alla rappresentanza.
  3. Utilizzare la variazione cromatica e la variazione dei livelli di illuminamento della luce artificiale non per finì meramente scenografici, ma con l’obiettivo di partecipare piena-mente all’intervento di restauro, rendendolo di più facile lettura e contribuendo alla reintegrazione dell’immagine del monumento.

I sistemi di illuminazione, tutti con sorgenti Led, sono posizionati tra l’intradosso della copertura e il controsoffitto di telo termoteso in PVC. Alcune asole rettangolari accolgono i gruppi di proiettori in esecuzione speciale, con vari fasci ottici e diverse temperature di colore. Gli apparecchi sono muniti di adattatore per binario elettrificato con driver remoti DMX, regolati tramite software con un pan-nello di controllo. I proiettori lavorano a coppie con lo stesso puntamento, consentendo di ottenere un unico fascio luminoso la cui componente spettrale totale varia in funzione della regolazione del flusso di ogni singolo proiettore e della sua Tc. Attraverso la regolazione del livello di ogni proiettore la luce aiuta a raccontare le varie stanze, ognuna con sottili differenze di luminanza e temperatura di colore, per suggerire il chiarore delle lucerne nelle stanze private e l’emulazione della più fredda e intensa luce diurna che penetrava nelle stanze del potere imperiale. Sin dal progetto preliminare è stata prevista la possibilità di regolare l’intensità luminosa e la temperatura di colore degli apparecchi: era necessario poter tarare tali grandezze su livelli più bassi con Tc tra 2700K e 3000K per le stanze della casa privata, luogo racchiuso con scarsa penetrazione della luce solare, fino a raggiungere livelli più alti con Tc da 4000K fino a 5500K per i fasci obliqui che doveva-no emulare la provenienza della luce diurna dal peristilio, attraverso una molteplicità di combinazioni intermedie in funzione delle diverse zone. Le due famose stanze affrescate (cubicula) della casa privata, la Stanza dei festoni di pino e la Stanza delle maschere, sono state trattate come ambienti musealizzati e illuminate con sistemi lineari con Led di potenza e ottiche asimmetriche, posizionati perimetralmente sul telaio di supporto dei telo termoteso, sospeso e scostato dalle pareti in modo da non interferire con la lettura degli affreschi. Al centro del telaio sospeso è stato inserito un apparecchio da incasso a bassa luminanza, per evidenziare i mosaici pavimentali.

Gli ambienti della Casa di Livia

L’intervento ha compreso anche il rifacimento dell’illuminazione di alcuni ambienti della adiacente Casa di Livia, che conserva ancora l’ingresso originale attraverso un corridoio con pavimento in mosaico su un piano inclinato, dal quale si accede all’antico cortile (atrium), oggi coperto, su cui si affacciano il cablino e le due ali, oltre al triclinio, tutti decorati con splendide pitture. Anche qui la luce rievoca la penetrazione origina-ria dei raggi solari: nel cortile è stata ricreata la sensazione di passare dalla luce solare piena della zona originariamente scoperta all’attenuazione luminosa che si doveva percepire della zona coperta dalla perduta tettoia. Negli ambienti affrescati sono state inserite delle strutture appositamente disegnate, sospese alle volte, che incorporano una serie di incassi con sorgenti Led a bassa luminanza, orientati verso gli affreschi, in modo da ottenere una eccellente percezione delle meravigliose pareti dipinte con festoni di frutta, scene di paesaggio e mitologiche, senza abbagliamento.

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